AZIENDE VERSO UNA DIVERSA GESTIONE DEL RISCHIO

L’impatto dell’epidemia di Coronavirus sul sistema produttivo globale sta facendo emergere la necessità per le imprese di dotarsi di sistemi di risk management che possano mitigare i rischi legati alla tutela del personale, alla supply chain e al calo della domanda. All’orizzonte, però, la minaccia è l’indebolimento dell’economia globale

AZIENDE VERSO UNA DIVERSA GESTIONE DEL RISCHIO
Nonostante negli ultimi anni il rischio pandemia, in termini di impatto, sia stato tra i più temuti dagli esperti interpellati per il Global Risk Report del World Economic Forum, l’eventualità che un tale evento si verificasse  sembrava talmente remota che tutti i Paesi finora colpiti dal Covid-19 si sono trovati impreparati nella gestione dell’epidemia. La collocazione originaria in Cina, fulcro dell’economica globalizzata, ha da subito fatto temere il contraccolpo a livello mondiale, ma il timore era rivolto molto più all’aspetto economico che al rischio sanitario, ritenuto controllabile fuori dai confini cinesi. Il deflagrare del coronavirus in Italia ha invece aperto gli occhi sul rischio che l’epidemia coinvolgesse direttamente anche la popolazione e le economie occidentali, avviando una presa di coscienza sulla necessità di mettere in atto misure contenitive e di salvaguardia utili a limitare oltre agli impatti sanitari, anche i danni economici. È chiaro agli osservatori, come evidenzia McKinsey & Company in una nota del 9 marzo scorso, come si stia verificando un’onda espansiva, che se da un lato ha già colpito in sequenza i diversi Paesi, dall’altro permetterà loro, via via che il morbo sarà debellato, di ripristinare le attività produttive interrotte, mantenendo viva anche se a basso regime la catena produttiva globale.
 
RIPENSARE L’ATTIVITÀ PRODUTTIVA

Le imprese si trovano in questo momento impegnate su più fronti. Come ha evidenziato Alessandro De Felice, presidente dell’associazione dei risk manager italiani Anra, entra in gioco in questa situazione la capacità delle aziende di aver previsto piani di recovery e soluzioni alternative per la business continuity. In sintesi, in assenza di coperture assicurative che coprano l’eventualità di epidemia, una buona parte dell’impatto sulle realtà produttive dipenderà dalla loro cultura del rischio e dall’esistenza di politiche di risk management. 
Un primo fronte è la necessità di tutelare i lavoratori dal rischio di contagio, operazione messa in atto, dove possibile, con l’attivazione di sistemi di lavoro a distanza, grazie ai quali i reparti amministrativi e gestionali delle aziende, e in generale il settore dei servizi, possono continuare la propria attività creando una rete tra i dipendenti operativi da casa. Più complessa la questione dei lavoratori impegnati nella produzione, per i quali è necessario mettere in atto azioni di tutela quali le protezioni fisiche (guanti, mascherine, distanze di sicurezza) o attraverso una riorganizzazione che permetta di ridurre l’impiego concomitante di personale avviando una distribuzione su più turni. Un altro tema sensibile riguarda i lavoratori impiegati all’estero: la riduzione dei voli e i blocchi alle frontiere rendono difficoltoso il rientro e le imprese sono tenute a salvaguardare i propri collaboratori in ogni Paese in cui si trovino per lavoro:un’eventualità che molte organizzazioni gestiscono tramite accordi specifici con compagnie assicurative e di assistenza internazionale. 

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AZIENDE TRA PIANI DI RECOVERY E CALO DELL’OFFERTA

Un secondo aspetto tocca direttamente la capacità delle aziende di mantenere attiva la propria catena di approvvigionamento. Secondo il report di McKinsey, il blocco della produzione in Cina ha reso evidente la necessità per le aziende di valutare le esposizioni delle proprie supply chain, di gestire gli stock delle scorte ma anche dei prodotti finiti, per poter rispondere ai picchi di richieste che si potranno verificare con il ritorno alla normalità. In tema di produzione, il rischio per le imprese sarà tanto maggiore quanto più si troveranno vincolate a catene di approvvigionamento nelle aree esposte al virus. Secondo McKinsey, l’esperienza maturata con gli effetti del Coronavirus sulla produzione cinese sta inducendo le imprese ad attivare misure di stabilizzazione delle proprie supply chain, con l’obiettivo di effettuare modifiche strategiche nel tempo.
Il terzo aspetto, che si combina con i due precedenti, riguarda la caduta della domanda nelle aree colpite dall’epidemia. Uno studio di Cerved Industry Forecast riporta le previsioni di impatto del Covid-19 sull’economia italiana, delineando un possibile scenario base e un secondo con visione peggiorativa. In entrambi i casi, i settori economici che risultano più danneggiati sono l’ambito turistico (strutture ricettive, agenzie viaggi, eventi e trasporti in particolare) e l’automotive (dai concessionari auto fino alla produzione di rimorchi). Al contrario, Cerved vede in crescita i settori correlati all’emergenza, dall’e-commerce alla grande distribuzione alimentare, fino ai settori farmaceutico e delle apparecchiature medicali.
 
UNA MISURA DELLO SLOWDOWN

Assodato dagli eventi che la crescita (italiana e mondiale) quest’anno sarà inferiore alle attese, il rischio più grave è che il protrarsi della crisi pandemica porti a un complessivo indebolimento del sistema produttivo. Escludendo il commercio al dettaglio e il turismo, settori per i quali la chiusura anche di un solo giorno equivale alla perdita di ricavi, per le imprese di produzione una chiusura totale di 2-4 settimane può essere recuperabile in termini di fatturato e di mantenimento della clientela. Diverso sarebbe se il periodo di crisi dovesse protrarsi: nel citato studio di Cerved vengono ipotizzati uno scenario di conclusione dell’epidemia a maggio e un secondo con durata fino a fine anno. Nel primo caso, le aziende italiane nel 2020 perderebbero mediamente il 7,4% dei propri ricavi (ma con punte superiori al 30% per i settori più esposti), per poi riprendersi nel 2021 con un aumento del 9,6%. Se invece dovesse verificarsi lo scenario peggiore, le perdite medie sui ricavi previsti sarebbero del 17,8% nel 2020, con una lenta ripresa nel 2021 non sufficiente a tornare ai livelli del 2019. L’analisi di McKinsey pubblica invece le previsioni a livello mondiale basandosi su scenari definiti non in termini temporali ma di gravità della pandemia. Il calo del Pil in Europa andrebbe da un -9% a un -59%; a livello globale lo scenario più positivo colloca le perdite tra il -12% e il -32%, mentre il peggiore tra il -40% e il -60%. 

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