L’URGENZA DEL CAMBIAMENTO

L’emergenza coronavirus ha messo a nudo tutti i punti deboli del sistema produttivo italiano: frammentazione, scarsa digitalizzazione, mancanza di competenze manageriali. Secondo Giuliano Noci, è necessario prendere coscienza di questi fattori per rilanciare le imprese dopo la crisi

L’URGENZA DEL CAMBIAMENTO
Il sistema produttivo italiano può vantare una straordinaria cultura di prodotto e una discreta capacità di innovazione, soprattutto in settori distintivi come il luxury o l’automotive. Può contare, caso unico al mondo, su un brand riconosciuto a livello internazionale e associato a valori positivi come il benessere e la bellezza, il famoso made in Italy. E dispone pure di una certa propensione all’imprenditorialità: chi fa impresa in Italia non può essere uno sprovveduto.
“Se queste sono le condizioni di partenza, uno si aspetterebbe che l’economia italiana fosse al vertice di tutte le classifiche internazionali”, osserva Giuliano Noci, professore ordinario di marketing e strategia presso il Politecnico di Milano. “Invece – aggiunge – non è così”. Già, perché accanto a conclamati punti di forza permangono debolezze che rallentano il naturale sviluppo del nostro sistema produttivo. Noci ne individua tre: frammentazione, scarsa digitalizzazione e mancanza di competenze manageriali. “L’Italia si conferma la terra dei campanili, cosa che a livello culturale si traduce in una scarsissima propensione alla cooperazione per una gestione delle risorse. A ciò – prosegue Noci – si aggiungono un bassissimo livello di maturità delle nostre tecnologie digitali e la mancanza di competenze manageriali che possano guidare un’azienda nel lungo periodo, anche dopo il successo, magari solo momentaneo, di un singolo prodotto”. Tutte criticità che rischiano di diventare sempre più evidenti con l’emergenza coronavirus.


Giuliano Noci, professore ordinario di marketing e strategia presso il Politecnico di Milano
fonte immagine:  © dicomunicazione

UN SISTEMA IMPREPARATO

La pandemia di coronavirus ha colto del tutto impreparate le imprese italiane. La frammentazione del tessuto produttivo, per esempio, non ha consentito di far rapidamente fronte alla perdita di cash flow che la crisi ha generato. Allo stesso modo, l’assenza di adeguate competenze manageriali ha rallentato l’adozione di nuovi strumenti tecnologici e, di conseguenza, il ricorso a innovativi modelli di business che avrebbero potuto, se non annullare, quantomeno moderare gli effetti più negativi del blocco delle attività.
“L’emergenza economica e sanitaria ha mostrato tutte le debolezze del nostro sistema produttivo”, osserva Noci. “Credo – aggiunge – che questa crisi potrà allargare ulteriormente la forbice che divide le aziende tradizionali e le imprese del quarto capitalismo. È una differenza sostanziale: da una parte c’è una semplice realtà produttiva, buona soltanto a produrre qualcosa per qualcuno, dall’altra c’è una consapevolezza strategica che consente di assumere un’identità autonoma rispetto ai movimenti del mercato”.

SEGUIRE IL BUON ESEMPIO

Non tutti, infatti, si sono fatti cogliere impreparati: le imprese del quarto capitalismo costituiscono, a tal proposito, un buon esempio da seguire. “Stiamo parlando di aziende che non hanno nemmeno sentito la crisi del 2008”, afferma Noci. “Sono aziende sane – aggiunge – che dispongono di tutti gli strumenti utili per reagire alle fluttuazioni del mercato”.
Qualcuno è parso muoversi nella giusta direzione. “Dopo anni che le imprese del commercio hanno concentrato il loro business attorno al solo punto vendita fisico, abbiamo finalmente visto un settore adottare strategie multi-canale che affiancano al tradizionale punto vendita anche un portale di e-commerce”, prende l’esempio Noci. “Le imprese – prosegue – stanno in parte cominciando a capire che la transizione digitale è una priorità strategica: se prima poteva esserlo in un’ottica che abbracciava i prossimi cinque anni, adesso deve diventare la priorità dei prossimi sei mesi”. Stesso discorso per quanto riguarda competenze manageriali e finanziamento del sistema: servono maggiori investimenti in formazione e nuovi strumenti per l’acquisizione di risorse finanziarie. “Questo è il momento di investire: non soltanto per sostenere il circolante, ma anche per incrementare la propria competitività”, afferma Noci.

RIPARTIRE DOPO LA CRISI

Dopo ogni crisi emergono nuove possibilità di business. La crisi generata dal coronavirus, molto probabilmente, non farà eccezione. Ed è anzi possibile, secondo Noci, che possa rafforzare tendenze di mercato su cui le imprese italiane sono ben posizionate. “Il coronavirus ha posto grande attenzione su temi come il benessere, la cura della persona, l’attenzione all’alimentazione e allo stile di vita: tutti tratti identitari del nostro made in Italy”, afferma il professore.
La differenza fra opportunità e risultato è però enorme. “Potenzialmente – osserva Noci – l’Italia avrebbe tutto da guadagnare da questo genere di mercato. Credo tuttavia che, per cogliere tutte queste opportunità, saranno fondamentali le scelte strategiche del prossimo futuro: tutto sta alla capacità di chi fa impresa oggi in Italia, che deve metabolizzare questa esperienza per prendere decisioni che possano fare la differenza e contribuire a superare le debolezze del sistema”.

DALLO SHOCK ALLA CONSAPEVOLEZZA

Man mano che prosegue l’emergenza sanitaria, appare sempre più chiaro che il sistema produttivo italiano uscirà cambiato da questa esperienza. “La pandemia di coronavirus è stata un vero e proprio shock”, afferma Noci. “Ed è stato così rilevante – prosegue – che penso possa aver contribuito a dare maggior consapevolezza sui punti deboli del nostro mercato”. Fra questi, com’è noto, c’è anche una diffusa, quasi atavica, disattenzione verso una corretta gestione del rischio.
“In Italia non c’è cultura del rischio”, afferma Noci. “Spero – prosegue – che tutta questa esperienza possa contribuire a far compiere un salto culturale che porti a una maggiore consapevolezza del valore strategico di una adeguata gestione del rischio”. Un auspicio che assume tutti i tratti di una congettura ben ponderata. “Le imprese che usciranno dalla crisi – conclude Noci – dovranno necessariamente assumere nuovi modelli manageriali e, fra questi, troverà sicuramente spazio anche una maggiore attenzione verso la gestione del rischio”.

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