PIÙ EQUITÀ PER FERMARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Gli impatti sulla popolazione e sull’ambiente determinati dal riscaldamento globale potrebbero essere frenati con la riduzione dei gas serra. Secondo il Sesto Rapporto di Valutazione redatto dall’Ipcc questo comporta nuovi investimenti, uno stile di vita condiviso e più sostenibile, ma capace comunque di produrre ricchezza

PIÙ EQUITÀ PER FERMARE IL CAMBIAMENTO CLIMATICO
👤Autore: Maria Moro Review numero: 103 Pagina: 52-53
Il clima della Terra sta veramente cambiando? E soprattutto, quanto l’azione umana ne è la causa e come l’uomo può intervenire per mitigarne gli effetti? 
In base alle rilevanze da tempo sostenute dall’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), fondato nel 1988 nell’ambito dell’Onu per studiare il riscaldamento globale e le sue conseguenze sull’uomo e sull’ambiente, le attività umane che determinano emissioni di gas serra sarebbero le principali responsabili dell’innalzamento della temperatura del pianeta, attualmente pari a +1,1°C rispetto al periodo base 1850-1900. Da allora l’uomo ha sviluppato in maniera sempre maggiore l’attività industriale, ha fatto un uso non controllato dei combustibili fossili, ha intensificato lo sfruttamento del suolo, ha arricchito il proprio stile di vita e aumentato i consumi. Anche se tutto questo è avvenuto in maniera diseguale nelle differenti aree della Terra, il cambiamento climatico interessa tutti i paesi e i suoi effetti provocano un impatto maggiore sulle popolazioni che già vivono ai margini dello sviluppo. Per cercare di limitare la crescita della temperatura, per l’Ipcc è necessario intervenire con più decisione e nuovi investimenti, andando verso uno stile di vita condiviso, più sostenibile, ma capace comunque di produrre ricchezza. 
Il 20 marzo scorso a Interlaken, in Svizzera, l’Ipcc ha presentato il rapporto di sintesi del suo Sesto rapporto di valutazione dei cambiamenti climatici (AR6), nel quale sostiene che allo stato attuale il raggiungimento di una temperatura media globale superiore di 1,5°C rispetto all’era pre-industriale sia da ritenersi “più probabile che non”, e che quindi l’obiettivo fissato alla conferenza sul clima di Parigi del 2015 potrebbe essere superato. Il sesto rapporto è l’ultimo aggiornamento prima della data spartiacque del 2030, anno definito come limite per lo scopo di dimezzare (-55%) le emissioni di gas serra rispetto al 1990; alla sua stesura hanno contribuito i governi di 47 paesi, sui 195 riconosciuti a livello mondiale, di cui 21 paesi sviluppati, 22 in via di sviluppo, due in transizione e due stati insulari in via di sviluppo.

PERSEGUIRE UNA “GIUSTIZIA CLIMATICA”

Il rapporto di sintesi non contiene nuovi dati scientifici a supporto della teoria, ma presenta i contenuti principali della ricerca mondiale sul clima e invita in maniera decisa i governi e le istituzioni ad abbracciare in modo più determinato le necessarie scelte e a fare nuovi investimenti per “invertire la rotta”. Aspetto positivo, il report riconosce che molto è stato fatto e sono state intraprese le giuste iniziative, che rappresentano oggi delle buone pratiche da implementare nei paesi che ancora non si sono allineati e da integrare e rinvigorire dove già si attuano politiche per l’inversione della tendenza. 
Da tempo il Panel sostiene che il riscaldamento dell’atmosfera è all’origine di eventi meteorologici estremi, che sono aumentati di numero e di intensità determinando una crescita di effetti dannosi per l’ambiente e le persone, su tutto il pianeta ma in particolare nelle aree più povere e svantaggiate.
Tempeste, uragani, ondate di calore, siccità provocano ovunque danni crescenti, ma hanno un impatto più devastante in termini di insicurezza alimentare, carestie, scarsità idrica, perdita delle abitazioni sulle popolazioni fragili e meno organizzate; tali effetti vanno poi ad aggravare i contesti già provati dalle guerre o dalle epidemie. Da qui nasce il concetto di “giustizia climatica”, che considera il fatto che nell’ultimo decennio le persone che vivono in regioni altamente vulnerabili – quasi la metà della popolazione mondiale – hanno registrato un numero di decessi per inondazioni, siccità e tempeste 15 volte superiore al periodo precedente, pur contribuendo solo in minima parte alle emissioni di gas serra. 

UNA TRASFORMAZIONE SOCIALE

Per queste ragioni l’invito degli studiosi dell’Ipcc è di adottare quanto prima azioni incisive per una trasformazione finalizzata a un mondo più sostenibile e con maggiore equità. 
L’obiettivo collettivo deve essere quello di orientare lo sviluppo verso modalità di resilienza al clima in tutte le aree del globo. Per l’Ipcc, le azioni per raggiungere un livello di sviluppo sostenibile devono seguire due linee precise: stanziare forti finanziamenti da parte di governi e istituzioni, ma distribuiti in modo equo secondo le disponibilità dei singoli paesi, e adottare con determinazione iniziative per ridurre o evitare le emissioni di gas serra. 
Tali iniziative, che si indirizzano in particolare a una trasformazione delle aree urbane, sottendono alla volontà di ottenere una conservazione efficace di circa il 30-50% del suolo e delle acque del pianeta.
Accesso alle fonti energetiche, comportamenti e consumi devono cambiare: va aumentata per tutti la disponibilità di energia rinnovabile e tecnologie pulite, va agevolata l’elettrificazione a basse emissioni di carbonio, è necessario spingere perché gli spostamenti avvengano quanto più possibile a piedi, in bicicletta o con l’uso dei trasporti pubblici. 

SCELTE POLITICHE E DECISIONI ECONOMICHE

Secondo il report, per contribuire alla riduzione dei gas serra i governi si dovranno impegnare a favorire un cambiamento degli stili di vita dei paesi più ricchi, orientandoli a un contenimento dei consumi. In particolare, l’invito è per una trasformazione dei settori alimentare e dei trasporti, per realizzare interventi sugli edifici e sull’uso del territorio. Secondo quanto affermano gli studiosi, tutto questo non significa ridurre la crescita e la ricchezza, ma ottenerle in maniera diversa rispetto ai modelli abituali.
In conclusione, sostiene il rapporto, per riuscire a frenare il riscaldamento del pianeta servono capitali, scelte politiche e decisi orientamenti sociali, economici e finanziari nell’ambito di un complessivo aumento degli investimenti per il clima. L’appello degli estensori agli stati è di perseguire e finanziare politiche di riduzione delle emissioni e di resilienza climatica, attraverso best practice già sperimentate e condivise. Un contributo fondamentale in questo potranno averlo gli investitori, le banche centrali, le autorità di regolamentazione finanziaria e gli organismi di cooperazione internazionale.

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