VIVERE NELL’EPOCA DELL’INCERTEZZA

Il contesto economico e geopolitico del momento sta ponendo in dubbio le certezze su cui da tempo facevamo affidamento. Muoversi in questo scenario pone serie difficoltà: per Lucio Poma di Nomisma, bisogna analizzare le origini del cambiamento ed elaborare misure utili alla gestione della situazione

VIVERE NELL’EPOCA DELL’INCERTEZZA
Il cambiamento, com’è inevitabile, genera incertezza. E in un mondo in rapida trasformazione, l’incertezza può diventare uno dei tratti caratteristici del contesto globale. Per Lucio Poma, responsabile scientifico dell’area industria e innovazione di Nomisma, adesso ci troviamo proprio in questa situazione. “Crescita asimmetrica, prezzo del petrolio, cambio dollaro-euro, scarsa inflazione e guerre commerciali: sono tutti elementi che testimoniano e alimentano la crescita dell’incertezza”, ha esordito nell’intervento introduttivo del convegno organizzato da Insurance Connect.
L’incertezza si distingue dal rischio perché non dispone di modelli probabilistici in grado di stabilire, almeno in maniera approssimativa, la possibilità che una minaccia si trasformi in un danno. Passare dall’incertezza al rischio, a detta di Poma, “sarebbe già un gran risultato”. E per farlo, ha fatto capire alla platea del convegno, diventa indispensabile analizzare le origini dell’incertezza ed elaborare misure adeguate a circoscriverle in un ambito più controllabile.
 
CERTI DELL’INCERTO

Per comprendere le origini dell’incertezza, a conti fatti, basta sfogliare un qualsiasi quotidiano. Poma ha portato l’esempio del Pil mondiale. “Il primo trimestre del 2019 non è stato assolutamente negativo, anzi è andato piuttosto bene”, ha affermato. “Eppure – ha aggiunto – le previsioni per il resto dell’anno appaiono catastrofiche”. A fronte del +0,4% fatto registrare dall’Area euro nei primi tre mesi dell’anno, l’Ocse stima una crescita complessiva per il 2019 di appena 1,2%. Lo stesso avviene per tutte le altre aree del pianeta. E per Poma diventa sintomatico del “clima di incertezza strutturale in cui ci troviamo a muoversi”.
Stessa dinamica si riscontra nel prezzo del petrolio. La crisi libica e le sanzioni imposte a Venezuela e Iran, unite alla chiusura dell’oleodotto di Druzhba, hanno comportato la perdita di 5,4 milioni di barili al giorno. “Il prezzo del petrolio – ha osservato Poma – dovrebbe schizzare alle stelle”. E invece è rimasto sostanzialmente stabile perché, ha proseguito, “le aspettative sul rallentamento dell’economia sono altissime, superiori alla crisi dell’offerta”. 



INFLAZIONE E POLITICHE MONETARIE

Il trend del petrolio sembra ripercuotersi anche sull’inflazione, incapace di rialzarsi al livello atteso del 2% se i prezzi dei beni energetici non salgono. “Con un’inflazione ferma in Italia all’1%, le istituzioni finanziarie non possono muovere i tassi e le banche sono ferme”, ha affermato Poma. 
Anche negli Stati Uniti, dove pure l’andamento dei prezzi ha raggiunto livelli più accettabili, si riscontrano problemi di difficile soluzione. Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, aveva annunciato a più riprese un ritorno a politiche monetarie più restrittive con un rialzo dei tassi di interesse che avrebbe posto fine alla strategia accomodante del suo predecessore Janet Yellen. Tutto sembrava pronto, salvo poi un cambio di rotta dell’ultimo minuto giustificato, oltre che dalle pressioni del presidente Donald Trump, anche dalla incertezza del contesto globale. “Abbiamo osservato venti contrari negli ultimi mesi”, aveva affermato Powell a maggio. Un mese dopo, la Fed ha mantenuto invariati i tassi di interesse, aprendo inoltre alla prospettiva di un ulteriore taglio.

LE CONSEGUENZE DEI DAZI

Alla base dell’attuale situazione di fragilità, secondo Poma, c’è soprattutto la guerra dei dazi in corso fra gli Stati Uniti e i suoi partner commerciali. “La prima ondata era ben definita e circoscritta soprattutto alle componenti tecnologiche”, ha osservato. “Con la seconda – ha aggiunto – si è sparato nel mucchio: abbigliamento, macchinari, persino giocattoli”. 
Le conseguenze di questo confronto restano ancora difficile da prevedere. Il rischio principale, in parte già verificatosi, è che i dazi possano essere percepiti come strutturali e, di conseguenza, portare a un riallineamento dei precedenti equilibri economici. “La ritorsione della Cina sulla soia – ha portato l’esempio Poma – ha spinto il Paese a cercare mangimi alternativi e ad avviare produzioni in autonomia: una volta che saranno eliminati i dazi, sarà difficile che il mercato riparta come se nulla fosse successo”. Il risultato è che molto probabilmente il mondo dopo i dazi sarà diverso da quello che eravamo abituati a conoscere. E ciò anche a causa della vocazione sempre più internazionale che la Cina sta assumendo. “Da un mondo a una sola polarizzazione si sta andando verso un mondo bipolare in cui l’Europa si trova in mezzo”, ha affermato Poma.

LA VIA D’USCITA DELLA TECNOLOGIA

Non solo incertezza, tuttavia: un mondo in rapida evoluzione genera infatti anche qualche opportunità. E nell’epoca della trasformazione digitale, le opportunità non possono che venir fuori dalle nuove tecnologie. Poma ha focalizzato la sua attenzione sull’Industria 4.0. “Non si tratta di automazione o digitalizzazione: è una cosa completamente nuova”, ha affermato. In questo contesto, i dati (o, meglio, i big data) saranno il nuovo petrolio e porteranno a una struttura di gestione e condivisione delle informazioni. Già oggi, ha illustrato Poma, “in aziende di svariati settori vengono costituite unità di data science in cui lavorano fisici, matematici e ingegneri nucleari: una cosa impensabile fino a dieci anni fa”. 
Le opportunità, in questo settore, non mancano. L’errore più grande che si possa fare, a detta di Poma, è pensare al fenomeno come a un semplice acceleratore. “Non è così. Il vero vantaggio dell’Industria 4.0 – ha chiosato – sarà la possibilità di pensare nuovi modi di produrre nuovi beni e servizi”. Che magari potranno pure servire a trasformare l’incertezza del momento in una opportunità di sviluppo.

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