GENDER GAP E DIVERSITY: FARE DI PIÙ È POSSIBILE

Una strategia che miri all’inclusione femminile e a una vera politica della diversità in azienda ha già ampiamente dimostrato di essere vincente. Ma l’Italia è ancora in ritardo su entrambi i fronti. Le donne che ricoprono ruoli apicali sono troppo poche e la governance non evolve

GENDER GAP E DIVERSITY: FARE DI PIÙ È POSSIBILE
👤Autore: Fabrizio Aurilia Review numero: 104 Pagina: 38-41
È difficile avere un quadro chiaro, complessivo, ovvero riassumere, in una frase la situazione italiana della parità di genere. Ci sono tante (troppe) variabili in campo: in primis, occorre chiarirsi su cosa si intenda per parità di genere. A quali domande bisogna dare delle risposte? Per esempio: basta una fredda statistica percentuale su quante donne sono impiegate in questo o quel settore? Ovviamente no, non ci si può accontentare di questo dato: è necessario capire che posizioni occupano, quando hanno raggiunto eventuali incarichi di responsabilità, ma anche il livello di retribuzione, le possibilità offerte loro in tema di work-life balance. E poi, parlare di gender gap e gender parity ha ancora senso in un mondo sempre più fluido che sta (quasi) abbandonando le differenze di genere, soprattutto in ambito lavorativo e soprattutto in certi settori?



I NUMERI, DA SOLI, NON DICONO MOLTO

Ma da qualche parte bisogna cominciare. Il settore assicurativo italiano non dà grandi spunti, occorre ammetterlo: Ania fornisce qualche dato relativo al 2021, dove si evince che nel comparto il 47,7% dei dipendenti è composto da donne. Si tratta, dice l’associazione, di un dato superiore alla media nazionale di altri comparti. È possibile andare un po’ più nello specifico, considerando che il numero delle donne è cresciuto anche nei livelli di inquadramento più elevati: tra i dirigenti, la presenza femminile è aumentata di circa sei punti percentuali negli ultimi cinque anni, determinando un corrispondente decremento del personale dirigente maschile.
Nonostante questi numeri, tutto sommato positivi e indicativi di una certa direzione, restando nel settore assicurativo italiano, l’anno scorso Ivass ha pubblicato uno studio sulla presenza femminile nei cda delle compagnie italiane che rivela ancora una certa arretratezza. “Un numero significativo di imprese – sostiene Ivass – ha consigli di amministrazione nei quali non sono presenti donne”, mentre i ruoli apicali di amministratore delegato e presidente sono “in larghissima parte rivestiti da uomini” e le consigliere rappresentano, in media, meno di un quinto dei membri del board. 

CHE GENERE DI DIVERSITY? 

“Il mercato, gli operatori, i regolatori e gli studiosi del settore sono ormai unanimi nel ritenere che la diversity è uno degli elementi chiave per garantire un’ottimale composizione e un efficace funzionamento del board”, sostiene Ivass, specificando anche che per diversity si intende, come si diceva prima, non soltanto il genere, ma anche la provenienza geografica, il background professionale, l’età ecc. Peraltro, per board s’intende in generale gli organi di governo, quindi non solo i consigli di amministrazione, ma anche i comitati di sorveglianza e di gestione delle imprese.
“Sorprende quindi – continua il regolatore – che nel settore assicurativo il tema della diversity non abbia sinora rappresentato un aspetto di riflessione specifico per le policy di regolamentazione e supervisione: solo recentissimamente lo standard setter internazionale della supervisione assicurativa ha affermato l’importanza dei principi di diversità, equità e inclusione per gli obiettivi di vigilanza”. Il riferimento va a uno statement pubblicato nel 2021 dalla Iais (International association of insurance supervisors).  

IL RITARDO DI EIOPA

In effetti, nel settore bancario, l’Eba, l’autorità bancaria europea, ha condotto e pubblicato analisi sulla composizione degli organi di governo delle banche e delle imprese d’investimento, proprio per stabilirne la diversity in termini sia generali, sia con specifico riferimento alla presenza femminile. Stessa cosa, a livello italiano, l’ha fatta Banca d’Italia che, peraltro, ha definito norme prescrittive in materia di rappresentanza di genere, introducendo una quota minima di genere pari al 33% negli organi di amministrazione e controllo delle banche. Per contro l’Eiopa, a oggi, non ha condotto alcuna ricerca o sondaggio sulla questione e nemmeno Ivass, aveva pubblicato informazioni dettagliate sulla diversity nel settore assicurativo italiano o assunto iniziative specifiche, fino all’anno scorso.
Nelle analisi del mercato condotte dagli operatori, invece, gli impatti della presenza femminile nei board delle compagnie di assicurazione confermano gli studi teorici sul miglioramento della governance. Ivass ricorda che “riguardo alle performance aziendali le analisi economiche confermano che una leadership composta anche da donne consente alle imprese assicurative di conseguire migliori risultati per i propri azionisti (in termini di tre o quattro punti percentuali rispetto al Roe medio del settore)”.



LA PANDEMIA, ENNESIMO OSTACOLO

E in effetti, se andiamo a consultare un interessante studio di Swiss Re sull’argomento, scopriamo che questa dinamica è in linea anche con quanto accade in altre industry di servizi finanziari. Nel 2019, le donne rappresentavano a livello globale circa il 23% dei dirigenti assicurativi, il 10% degli amministratori delegati e l’8% dei presidenti. Negli ultimi dieci anni anche i broker hanno visto crescere la quota femminile tra gli executive, così come i riassicuratori hanno aumentato la presenza delle donne nei consigli di amministrazione. Una progressione che Swiss Re definisce “vitale”, soprattutto dopo la pandemia di Covid-19, che ha rappresentato l’ennesimo ostacolo per l’uguaglianza di genere. “Le donne lavoratrici – ricorda il riassicuratore – sono più esposte degli uomini al rischio di perdere il lavoro e questa dinamica sta mettendo a rischio i progressi compiuti per colmare il divario di genere anche in termini di retribuzione”.
La presenza femminile nei consigli di amministrazione è migliorata tra il 2010 e il 2019, ma la maggior parte dei miglioramenti ha riguardato le compagnie di assicurazione nei cui cda, all’epoca, sedevano solo uomini. Più della metà di queste imprese ha aggiunto una o due donne al proprio board: troppo poco, se consideriamo che quasi la metà delle aziende che avevano una o più donne nel proprio consiglio nel 2010 non ha comunque aumentato questa rappresentanza da allora. 



AUMENTARE LA FLESSIBILITÀ

L’obiettivo principale, secondo il report, è migliorare la governance, ma per farlo occorre passare per l’aumento della “diversità di pensiero” diversificando il processo decisionale: “solo così sarà possibile accrescere il valore per gli azionisti attraverso maggiori profitti e, contemporaneamente, riuscire sostenibili, sicuri, conformi alle normative e inclusivi”.
Una strategia di gender diversity di successo dovrebbe includere obiettivi misurabili di assunzione e promozione specifici per genere, verso cui l’azienda si impegni pubblicamente. “Occorre creare future leader – raccontano gli analisti – sostenendo quelle donne che dimostrano maggiori aspirazioni di carriera a tutti i livelli, utilizzando strumenti come i programmi di sviluppo executive specifici per le figure femminili”. Ma come fare? Per esempio aumentando le politiche di lavoro flessibile, per consentire a tutti i dipendenti di conciliare vita professionale e vita familiare. La combinazione di tutti questi strumenti può aiutare le aziende a essere ben equilibrate, attrattive e sostenibili sul lungo termine, cioè rispondere a ciò che in questo momento chiede il mercato.

LAVORO FEMMINILE: UNA RICCHEZZA NASCOSTA

A volte, però, sembra che l’Italia non riesca (o non voglia) stare dietro al cambiamento. Bain ha provato a mettere in fila dati in parte già noti, ma che disegnano un quadro che relega il Paese sempre agli ultimi posti delle classifiche internazionali. Secondo la società di consulenza, la partecipazione delle donne al mondo del lavoro, in generale, ha un potenziale compreso tra 50 e 150 miliardi di euro: facile immaginare quanto si sia lontani dal poter sbloccare questa ricchezza. 
Le opportunità di carriera e stipendio per le donne sono ancora molto inferiori rispetto a quelle degli uomini: all’interno delle società quotate, solamente un ceo su dieci è donna. Nel settore assicurativo, i vertici femminili sono facili da ricordare ed enumerare. Purtroppo, in Italia ci sono sempre più donne qualificate che non partecipano alla forza lavoro, con una forbice che si allarga all’aumentare dell’età. 

LA LENTEZZA DEI PROGRESSI

La pandemia ha ulteriormente peggiorato la condizione sociale ed economica della donna, inasprendo il divario già esistente nella partecipazione al mondo del lavoro: il 70% dei posti di lavoro persi durante la pandemia era ricoperto da donne. Siamo anche di fronte a una regressione, una perdita di fiducia: si parla sempre di femminismo, ma i progressi in Italia sono stati pochissimi. 
All’interno delle pagine che seguono, sono presentati ulteriori dati, interventi, opinioni e iniziative concrete di aziende e imprese assicurative attive nel mercato italiano. Se da un lato è innegabile una progressione, quantomeno numerica e nelle intenzioni, nella sostanza resta la riflessione di Ivass secondo cui “in mancanza di un intervento normativo che imponga vincoli prescrittivi, la dinamica d’inclusione di professionalità femminili negli organi decisionali delle imprese del settore finanziario è molto lenta”.

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