BUSINESS INTERRUPTION, UNA MINACCIA GESTIBILE

L’interruzione dell’attività può verificarsi in moltissimi modi: spesso, però, i suoi effetti sono prevedibili e assicurabili. Il settore produttivo italiano è comunque impreparato a far fronte ai principali problemi che scaturiscono da comportamenti non responsabili: con gravi conseguenze sulla reputazione delle aziende stesse

BUSINESS INTERRUPTION, UNA MINACCIA GESTIBILE
L’interruzione del business è uno dei maggiori rischi percepiti dalle aziende di tutto il mondo: nell’indagine annuale di un noto broker internazionale, questa minaccia si piazza al quarto posto della Top 10 delle più temute. La continuità operativa è al centro delle preoccupazioni degli imprenditori e dei manager che gestiscono le aziende. È normale che sia così, anche perché l’interruzione di attività ha molteplici cause: sia fisiche, come incendi o catastrofi naturali, sia meno tangibili, come un attacco ai sistemi informatici o, perché no, anche una crisi di reputazione. 
L’Italia è particolarmente vulnerabile su molti fronti: è tra i dieci Paesi più colpiti al mondo da alluvioni, inondazioni, bombe d’acqua, ma sta cominciando a soffrire anche di ondate di calore improvvise. Per non parlare dei terremoti, nei confronti dei quali l’Italia è molto esposta: il conto dei danni negli ultimi 20 anni ammonta a circa 48,8 miliardi di euro. A fronte di queste evidenze, tuttavia, la percentuale di aziende che hanno una copertura assicurativa per danni indiretti, in Italia, è al di sotto del 10%. In Europa è quasi il 90%.  

IN PRIMIS IL RISK MANAGEMENT

Questo basterebbe per rendere ancora più palese l’importanza di parlare di questi temi e approfondirli, nonché per monitorare nel tempo il grado di sviluppo della cultura del rischio tra le aziende. 
È chiaro, però, che per un’azienda colpita da un sinistro, la polizza non basta: è essenziale una strategia di recupero da disegnare prima che avvenga il sinistro, così da ridurre anche l’impatto economico dell’evento che ha provocato i danni e, contemporaneamente, impostare un percorso di ripresa dell’attività produttiva.
La chiusura della mattinata del convegno è stata proprio affidata a una tavola rotonda d’approfondimento sul risk management delle aziende e sulle conseguenze della business interruption derivante da molteplici rischi.
 


SE NON TUTTO DIPENDE SOLO DA ME

Quando si parla di business continuity, però, spesso ci si dimentica che non tutto dipende dalla singola azienda: Carlo Cosimi, vice presidente di Anra e corporate head of insurance & risk financing di Saipem, ha subito fatto notare come anche per le piccole e medie imprese, ormai, sia essenziale verificare tutta la catena delle proprie forniture, perché l’interruzione d’esercizio può avvenire a ogni anello della catena. Riuscire a prevedere quale potrebbe essere l’anello debole è centrale quasi quanto possedere un buona polizza danni indiretti. “Dalla mia esperienza – ha detto Cosimi –, quando ci si rivolge al mondo assicurativo occorre sempre considerare il massimo grado di danno, l’evento che può, più di tutti, determinare i maggiori problemi. Meglio privilegiare la severità rispetto alla frequenza: in questo senso – ha sottolineato – ci servono partner, non assicuratori”.
 

Da sinistra: Marco Valle, vice presidente di Aipai; Luigi Viganotti, presidente di Acb; Stefano Scoccianti, enterprise risk manager del gruppo Hera; Maria Rosa Alaggio, direttore di Insurance Review; Carlo Cosimi, vice presidente di Anra e corporate head of insurance & risk financing di Saipem; Tommaso Faelli, legale dello studio Bonelli Erede e docente di Cineas; Luca Franzi De Luca, presidente di Aiba; e Massimo Marchi, presidente di Marchi & Fildi e Filidea

UN INTERMEDIARIO ALLA GUIDA

Ecco perché il rapporto con l’intermediario, che nella maggior parte dei casi è un broker, è centrale. Ne ha parlato Stefano Scoccianti, enterprise risk manager del gruppo Hera, che ha spiegato come la società di servizi energetici operi quando entra in contatto con il settore assicurativo. Questo rapporto comincia dalla partnership con un intermediario di fiducia: Scoccianti usa proprio il termine “partnership”, per definire la relazione tra l’azienda e il broker. “L’intermediario – ha precisato – ci guida nelle scelte di protezione. Ma non soltanto presentandoci una polizza invece che un’altra, magari solo in base al prezzo: insieme, dobbiamo fare un’articolata analisi dei rischi per poi decidere ciò che vogliamo trattenere e ciò che invece gireremo al mercato assicurativo”.
Scoccianti, in questo contesto, si attende maggiore attenzione del settore nei confronti del rischio reputazionale.  



REPUTAZIONE E SCELTE SBAGLIATE

La reputazione è un concetto complesso per un’azienda, oggi. In un mondo in cui la trasparenza non è più un valore aggiunto ma una condizione senza la quale non è più possibile stare sul mercato, il rischio reputazionale può agire a ogni livello. 
La gestione di questo rischio da parte del settore assicurativo è tuttavia ridotta, come ha sottolineato Tommaso Faelli, legale dello studio Bonelli Erede e docente di Cineas. L’avvocato ha fatto notare che le polizze, in genere, coprono i costi di consulenza e le spese di comunicazione: tutti quegli esborsi che servono, in teoria, per recuperare la credibilità dopo che però l’azienda l’ha già perduta.  “Inoltre – ha aggiunto Faelli – il danno reputazionale è spesso di natura dolosa, fattispecie non coperta dagli assicuratori”. Questa circostanza può creare un rapporto non sempre trasparente con chi prende in carico il rischio. Ma non basta: “spesso – ha precisato l’avvocato – la reputazione può essere lesa anche per scelte sbagliate, magari proprio in fase di gestione del sinistro reputazionale”.
 


FRENARE LA CORSA AL RISPARMIO

Riprendendo il discorso di Scoccianti sul ruolo dell’intermediario, Luca Franzi De Luca, presidente di Aiba, si è chiesto come effettivamente oggi i rischi siano trasferiti nelle polizze. Come considerare la business interruption legata alla responsabilità di terzi? Il numero uno di Aiba, ha portato l’esempio del sinistro della scorsa estate che ha coinvolto il Ponte Morandi: come assicurare i danni causati al Porto di Genova, e alla logistica collegata, dal profondo ridisegno della viabilità di quell’area? Come gestire il rischio incendio derivante da un problema informatico in una struttura che ha sottoscritto una polizza property dove la clausola cyber esclude questo tipo di danni? “Mi pare – ha sottolineato Franzi De Luca – che sia ormai chiara l’esigenza di una copertura strutturale che protegga l’evoluzione del lavoro delle aziende”. 
Ma non è certo solo responsabilità del settore assicurativo e di come sono fatte le polizze. “Occorre frenare – ha aggiunto – la corsa alla polizza più economica: l’offerta di polizze di bassa qualità è influenzata anche da una domanda di basso livello. Investire di più è essenziale, perché vanno bene le policy e la governance che un’azienda è in grado di mettere in campo, ma queste non annullano il costo del rischio”.

CAPIRE CHI SI HA DAVANTI

È compito del broker capace e scrupoloso comprendere tutti i possibili risvolti del danno indiretto: per esempio, ha citato Luigi Viganotti, presidente di Acb, è essenziale capire se i prodotti commercializzati alla fine di un processo produttivo possano avere dei difetti occulti, magari originati da un sinistro avvenuto durante la catena produttiva, così da considerare un’eventuale specifica copertura di Rc. “È importante – ha specificato Viganotti – capire dove si colloca l’azienda che produce un certo bene, i legami che ha, con quali altre imprese collabora, se è un azienda che ha un ciclo produttivo intero, cioè dalla materia prima al prodotto finito, oppure se interviene solo in una fase intermedia della lavorazione. Ricordo – ha aggiunto il presidente di Acb – un grosso sinistro in un’azienda di principii attivi per la farmaceutica, che andò incontro a un blocco di diversi mesi, il quale causò il crollo della produzione di altre imprese della catena”. Occorre capire, quindi, quanto un eventuale sinistro incida su tutta una filiera, ed eventualmente anche sui clienti. 
Del resto, ci sono casi virtuosi in cui tutte le parti collaborano e lavorano insieme nell’interesse reciproco: azienda assicurata, compagnia, intermediario, periti. 

LA VOGLIA DI RICOMINCIARE SUBITO

È il caso raccontato da Massimo Marchi, presidente di Marchi & Fildi e Filidea, azienda di filati, con sede in Piemonte e ramificazioni internazionali, che ha dovuto affrontare un sinistro incendio nel 2014. Il danno complessivo è stato inferiore ai cinque milioni di euro (fatturato di 65 milioni) ma il rogo ha bloccato completamente la produzione.
L’atteggiamento dei dirigenti dell’azienda è stato da subito chiaro: “volevamo dare – ha spiegato Marchi – un segnale trasparente, cioè la ferma volontà di riprendere il più rapidamente possibile l’attività. Non abbiamo cercato di attivare clausole di loss of profit o danni diretti nella polizza: il nostro obiettivo non era portarla per le lunghe, ma ripartire subito. La compagnia e gli altri attori in gioco lo hanno capito e nell’arco di due giorni il 30% della produzione è ripartito, in una settimana il 50%, ed entro un mese eravamo pienamente operativi”. 
Alla base di tutto, ha specificato Marchi, c’è “una polizza fatta bene”, intermediata da “un broker di fiducia” con cui l’azienda collabora da 30 anni: “il rapporto – ha concluso – è stato costruttivo, la compagnia ci ha anche dato un anticipo sull’indennizzo. Di fatto i nostri clienti non hanno avuto la minima percezione del problema”.

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