IL DIFFICILE INQUADRAMENTO DELLE UNIT-LINKED

Una recente (e inusuale) pronuncia della Cassazione propone argomentazioni che rischiano di gettare nuovi dubbi sulla natura di questi prodotti, creando così ulteriore confusione in un mercato già poco chiaro, viste anche le posizioni delle authority di settore

IL DIFFICILE INQUADRAMENTO DELLE UNIT-LINKED

Con ordinanza 26079 del 2025, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ritorna sull’inquadramento giuridico delle polizze di tipo unit-linked.    
Con atto di citazione notificato nel dicembre del 2017, la contraente di una polizza assicurativa di tipo unit-linked conveniva in giudizio la compagnia di assicurazioni e il relativo intermediario sostenendo di essere stata convinta a sottoscrivere una polizza di assicurazione del tipo sopra citato, per la quale detta contraente, risultata successivamente “casalinga senza reddito”, aveva corrisposto l’importo di 50mila euro in un’unica soluzione, a fronte della descrizione fatta dall’intermediario del prodotto come di un investimento sicuro e foriero di vantaggi fiscali per gli eredi, in caso di decesso dell’assicurata. L’attrice, che aveva sottoscritto la polizza nel 2011, lamentava di non aver ricevuto la copia del contratto quadro, e, se mai e in sua vece, di un documento nel quale l’intermediario affermava di essersi attenuto agli obblighi di condotta previsti dalla legge e un foglio in cui si comunicava che la proposta era in fase di lavorazione, oltre al certificato assicurativo.
Succedevano comunicazioni con le quali si informavano la contraente della sopravvenuta iniziale illiquidità del fondo nel quale il premio era stato investito, seguite da comunicazioni con le quali si informava la contraente di una riduzione del valore del predetto fondo del 40% e successivamente, e infine, della sospensione delle attività dell’attivo per motivi di incapienza.
Con atto introduttivo della causa, l’attrice lamentava la mancata consegna del contratto quadro previsto dall’articolo 23, comma 1, del Tuf, richiamato dall’articolo 25 della stessa fonte, dalla quale ne sarebbe discesa la nullità del contratto assicurativo sottoscritto, con conseguente diritto della contraente di vedersi restituite le somme versate a titolo di premio e lamentando in subordine altresì il danno conseguente alla condotta omissiva dell’intermediario, legittimante l’attrice al risarcimento di una somma di denaro di eguale importo del premio versato. Istruita la causa, il tribunale di Ivrea, con sentenza dell’agosto 2020, rigettava la domanda principale di accertamento della nullità della polizza, mentre accoglieva la domanda subordinata di risarcimento del danno, condannando, tra l’altro, le convenute, in solido tra loro, al pagamento di una somma corrispondente all’importo di premio versato dalla contraente attrice.

DOPPIO BINARIO INSOSTENIBILE

Con distinti atti di appello, la sentenza veniva impugnata dalle convenute, le quali, con sentenza del 16 maggio 2022 della Corte di appello di Torino, vedevano rigettati gli appelli riuniti. Tra le motivazioni addotte, la Corte sabauda osservava che la polizza, in quanto prodotto finanziario emesso da impresa di assicurazione, era soggetta all’applicazione degli articoli 21 e 23 del Tuf, a prescindere dalla questione relativa alla sua natura, e che la tesi del cosiddetto doppio binario in base al quale, ai fini dell’applicabilità delle predette norme, occorrerebbe distinguere tra prodotti collocati direttamente dall’impresa di assicurazione rispetto a quelli collocati da agenti e broker per identificare la normativa di riferimento applicabile, era insostenibile dal momento che la disciplina è diretta a disciplinare il prodotto e dunque tutelare l’investitore, a prescindere dal canale distributivo impiegato. La sentenza della Corte di appello veniva ricorsa in Cassazione dalla compagnia di assicurazioni.

LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE

Tra i motivi esaminati dalla Corte di Cassazione meritano attenzione, in particolare, due. La compagnia di assicurazioni aveva lamentato, tra gli altri, omessa pronuncia da parte della Corte di appello sulla questione della natura della polizza sottoscritta dall’attrice. Sul punto il Supremo Giudice rigettava il motivo, affermando che la questione della natura della polizza era stata affrontata dalla Corte di appello di Torino in una diversa prospettiva, e cioè attribuendo al prodotto la natura di “prodotto finanziario emesso da impresa di assicurazione”, come tale rientrante nella definizione dell’articolo 1, lettera w-bis) del Tuf, legittimante pertanto la richiesta della contraente di vedersi fornita la documentazione prevista dagli articoli 21 e 23 del Tuf. 

IL PARERE DEL GIUDICE COMUNITARIO

A parere della Corte di Cassazione, la ricostruzione operata dalla Corte di appello di Torino rendeva superflua la pronuncia del giudice di appello sulla natura della polizza, anche rispetto al lamentato allontanamento, secondo l’impresa assicuratrice ricorrente, dalle pronunce della Corte di Giustizia europea che non esitano a qualificare i prodotti unit-linked come polizze di assicurazione sulla vita. 
Il Supremo Giudice, rinviando a un suo precedente (Cass. n. 12131/2023), ribadiva che il giudice eurounitario non impone ai giudizi nazionali di conformarsi ai propri orientamenti, non essendosi pronunciato sui requisiti minimi che i contratti unit linked devono avere, per poter essere distinti dai contratti di investimento. A mente della Cassazione, il giudice comunitario si sarebbe limitato a stabilire che le polizze unit-linked sono soggette alla disciplina comunitaria solo per determinati scopi, ma non a indicare criteri di ermeneutica contrattuale, non potendosi qualificare assicurativo un contratto sol perché stipulato da un’impresa di assicurazione.

IL RISCHIO DI UN’ULTERIORE CONFUSIONE

Ma è sul principio del doppio binario che la Cassazione assume posizioni inusuali. In sostanza, il canale distributivo impiegato per la commercializzazione del prodotto (distribuzione diretta da parte dell’impresa vs impiego di agenti/broker) non giustificherebbe l’applicazione della disciplina degli articoli 21 e 23 del Tuf, allorquando il prodotto sia collocato direttamente dall’impresa e invece quella del Codice delle assicurazioni, quando a distribuire il prodotto sono intermediari soggetti alla vigilanza dell’Ivass (al tempo Isvap). 
Su questo punto, la Cassazione avallando il percorso argomentativo logico del tribunale sabaudo, ha ritenuto che:
  • l’articolo 25 bis, comma 1, del Tuf rende applicabili gli articoli 21 e 23 della stessa fonte ai prodotti finanziari assicurativi a prescindere dal canale distributivo, dal momento che le previsioni sono finalizzate a garantire una maggior tutela del contraente;
  • in tal senso, il canale distributivo impiegato è neutro e irrilevante, se paragonato rispetto al fine di tutela del contraente;
  • il regime di vigilanza dell’intermediario (Ivass/Isvap o Consob) non può incidere sull’applicabilità degli articoli 21 e 23 del Tuf;
  • la disciplina del 2018 (di attuazione della direttiva comunitaria sulla distribuzione assicurativa) ha semplicemente fatto confluire nel Codice delle assicurazioni la disciplina di protezione già presente nel Tuf.

Trattasi di argomentazioni che non colgono la complessità e le stratificazioni che si sono consolidate nel tempo circa la natura di questi prodotti, attestandosi su posizioni che, nella loro apparente innovatività, rischiano di creare ulteriore confusione in un mercato già orfano di chiarezza da parte dell’autorità di vigilanza di settore.


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