IL RUOLO DELL’INTERMEDIARIO NELL’EDUCAZIONE FINANZIARIA

Le opportunità per i risparmiatori di ricorrere a prodotti di investimento sono sempre maggiori, ma le scarse conoscenze di base del cittadino medio in tema di finanza limitano la sua capacità decisionale e le sue scelte. Gli intermediari non possono assumersi il compito di “fare cultura”: possono però indirizzare il cliente e utilizzare strumenti online che lo aiutino nel definire i propri bisogni.

IL RUOLO DELL’INTERMEDIARIO NELL’EDUCAZIONE FINANZIARIA
Gli scandali delle obbligazioni subordinate di alcune banche italiane acquistate dai piccoli risparmiatori hanno posto con forza il tema dell’educazione finanziaria della popolazione. Il problema si pone in tutto il mondo, ma è particolarmente rilevante in Italia. 
Secondo un’indagine dell’Ocse, soltanto il 30% degli italiani ha un livello adeguato di conoscenze di base dei temi legati alla finanza personale, contro una media pari al 62%. 
Il tema dell’educazione finanziaria è divenuto cruciale in quanto il rapporto tra i risparmiatori e il mondo della finanza è stato segnato negli ultimi trenta anni da un sempre maggiore coinvolgimento. Questo trend fa il paio con la rimozione dei vincoli all’operatività degli intermediari: se nei primi anni ‘80 il risparmiatore si limitava a possedere un conto corrente, una polizza assicurativa sull’auto e a comprare titoli di Stato, oggi costui ha accesso a strumenti finanziari/assicurativi complessi, mentre anche dal lato dell’offerta le opportunità sono sempre più numerose e articolate (da parte degli intermediari tradizionali e degli operatori online). 
Il tema della tutela del risparmiatore è divenuto sempre più rilevante in questo percorso. Le misure predisposte dal legislatore hanno in primo luogo privilegiato la concorrenza (possibilità di scegliere i prodotti e gli intermediari) e l’informazione, che deve essere esaustiva e chiara per legge. Questa impostazione si è però mostrata inefficace per alcuni motivi. 

STRUMENTI RIDONDANTI CHE NON SONO UNA SOLUZIONE

Infatti, nell’ambito della finanza, che per natura ha a che fare con l’incerto e il rischio, la chiarezza e l’esaustività delle informazioni sono difficili da raggiungere. Il risultato sono prospetti informativi assai corposi e articolati. In secondo luogo, anche ammettendo che le informazioni fornite siano esaustive e corrette, il problema che si pone è quello delle conoscenze dell’individuo non professionista in materia di finanza, che spesso non sono sufficienti a processare tutte le informazioni. Per approssimazioni successive, si è cercato di ovviare al problema ricorrendo a informazioni sintetiche con prospetti standardizzati che avrebbero dovuto permettere all’individuo di orientarsi e di compiere scelte razionali, individuando ad esempio i benefici della diversificazione e comprendendo appieno il tradeoff rischio-rendimento. Anche questo passo si è rivelato essere inadeguato, in quanto oramai sappiamo che il risparmiatore difficilmente comprende, ad esempio, la relazione fra rischio e volatilità del mercato, e non è portato a valutare la propria ricchezza nel suo complesso ma a seguire dei conti mentali nella valutazione delle scelte. Si tratta dei cosiddetti bias della finanza comportamentale, che dall’essere errori rispetto ai canoni classici della teoria delle scelte finanziarie sono divenuti lo standard con cui confrontarsi.
Questa premessa ci porta a individuare due ambiti di intervento: l’educazione finanziaria e il rapporto intermediario-cliente. 
Il tema dell’educazione finanziaria può essere affrontato da diversi punti di vista. L’impegno di lungo periodo riguarda sicuramente la formazione di competenze per le generazioni future. Quindi occorre partire dalla scuola. In sostanza il tema è far sì che le generazioni future abbiano conoscenze di finanza così come le hanno di storia e geografia. L’educazione finanziaria è stata collocata nell’ambito delle competenze in materia di cittadinanza. Per il momento la possibilità di agire sui programmi scolastici si è rivelata essere una strada difficile da perseguire e l’iniziativa è lasciata ad attività complementari come quelle che al Politecnico di Milano svolgiamo tramite il progetto edufin@polimi (https://www.imparalafinanza.it/): progetti di flipped classroom in materia di educazione finanziaria (con particolare attenzione alla matematica finanziaria), competizioni a squadre che favoriscono la trasmissione della conoscenza sfruttando un formato di gioco (caccia la tesoro finanziaria, labirinto delle finanze), corsi di formazione per individui adulti, persone fuori dal circuito finanziario, didattica online (Mooc finanza per tutti, https://www.pok.polimi.it).

INFORMARE E TUTELARE NON SIGNIFICA FORMARE

Il secondo ambito di intervento è quello del rapporto con gli intermediari. In questo ambito ci scontriamo ovviamente con un conflitto tra l’esigenza di informare/tutelare l’individuo, e l’esigenza dell’azienda di svolgere il proprio business. L’attenzione nei confronti del cliente è sicuramente cresciuta negli ultimi anni, ma è ovvio che ci sia un conflitto tra l’interesse dell’azienda e l’interesse del consumatore. Un conflitto che deve essere affrontato in modo trasparente secondo le indicazioni del regolatore. Il compito degli intermediari è di svolgere da un lato un ruolo di formazione/consulenza del cliente, e dall’altro di non utilizzare i limiti cognitivi degli individui per raggiungere i propri obiettivi, ma adoperarsi affinché questi limiti non impattino negativamente sulla capacità di scelta del cliente.
Sul primo punto occorre essere chiari: non è possibile addossare agli intermediari il compito di fare formazione in materia finanziaria. Il momento in cui ci si concentra sui tratti commerciali può prevedere una attività di consulenza, ma non ci si può spingere fino a formare le competenze necessarie per fare scelte ponderate in materia di finanza. Quello che può essere fatto è sviluppare degli ambienti che portino l’individuo a compiere scelte ponderate, riflettere sui propri limiti ed errori. Ad esempio, sfruttando canali digitali possono essere messi a punto test di autovalutazione che mettano in evidenza eventuali incoerenze in merito al rischio che si vuol assumere, al rendimento che ci si aspetta e all’orizzonte temporale dell’investimento. 
Sul secondo fronte possiamo fare riferimento alla teoria della spinta gentile (dovuta al premio Nobel Richard Thaler e a Cass Sunstein). Secondo questo approccio, giacché le capacità di elaborare le informazioni di un individuo sono limitate, l’intermediario dovrebbe porre molta attenzione nella ideazione di un sito internet e nel predisporre il materiale informativo cercando di orientare le scelte dell’individuo nella direzione più confacente ai suoi interessi. Si tratta di indirizzare il cliente pensando al suo bene. L’attenzione deve essere elevata in quanto l’evidenza empirica ci mostra che non sempre gli effetti sono chiari e vanno nella direzione desiderata: occorre essere consapevoli che anche solo il modo in cui le opzioni sono presentate può portare a risultati negativi per il cliente. 

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