SIAMO TUTTI CONSULENTI

Il futuro dell’intermediario può concretizzarsi nel valore e non nel prezzo. L’alternarsi di opinioni che attribuiscono alla consulenza molteplici, e spesso contrastanti, connotazioni non fa che generare confusione. Con questa rubrica cercheremo, anche nei prossimi mesi, di fare un po’ di chiarezza sul tema e di fornire contributi di stimolo per i nostri lettori

SIAMO TUTTI CONSULENTI
Il mondo assicurativo è ricco di dati contrastanti e di contraddizioni. Da qualche anno, il mercato tiene in termini di ricavi, con forti crescite specialmente nel ramo unit, ma i distributori soffrono: i dati sugli iscritti al Rui evidenziano che a inizio 2015 erano iscritte circa 220 mila persone fisiche, con il numero di produttori in crescita e il numero degli agenti in calo. Anche i costi del servizio aumentano, ma i margini si fanno sempre più esigui. 
 
È inoltre chiaro a tutti che c’è necessità di previdenza, ma il sostentamento delle reti deriva ancora dai rami auto o danni. C’è poi un gran parlare della personalizzazione, ma i nuovi prodotti sempre più spesso prevedono tagli fissi, pacchetti standard, coperture limitate. Infine, così finiamo la premessa cupa, non si vede genuina innovazione di prodotto da molti anni, come se il mondo fosse ancora fermo ai welfare state protettivi di fine novecento. 
In questo quadro, che alcuni troveranno eccessivamente nero e altri fin troppo realistico, è chiaro a molti che il futuro dell’intermediario assicurativo si sostanzierà nel valore e non nel prezzo. 
La competizione sul prezzo, oltre ad avere già congelato interi mercati (leggi fondi pensione) prima o poi si sposterà sul terreno digitale o delle vendite a pressione, lontane ormai culturalmente dalla percezione di sé di un assicuratore. E la stessa idea di affrancarsi dal prodotto monomarca, lanciandosi sul multibrand, pare in aperta controtendenza con i criteri di acquisto dei risparmiatori, che non manifestano passione nella comparazione tra prodotti complessi, ipertecnici, comunicativamente criptici e che non esprimono nel basso costo un fattore di scelta. 


IL PESO DELL'INDETERMINATEZZA 

In un mercato che traballa, pensare di differenziarsi per la prossimità al cliente (come si può essere più vicini di internet?), la capacità di ascolto (come se l’assicuratore fosse uno psicologo o un confessore) o una gamma di prodotti “favolosa” fa venire a mente una bella discussione fra gli orchestrali del Titanic su quale musica sia la più appropriata per accompagnare l’affondamento… Che fare, dunque? 

La risposta è assai semplice: bisogna fare consulenza. E qui si apre il gioco sinuoso dei significati: chi è davvero consulente, e chi no (o non ancora)? E come dare un significato concreto a una attività e un ruolo professionale? La consulenza è un’attività definibile o astratta? E si può essere apprezzati in mancanza di una cornice che descriva, indichi, discrimini? Le risposte degli intermediari sul tema appaiono, troppo spesso, elusive. Così, senza pretese di esaustività, la consulenza è oggetto di opinioni alternative che di volta in volta la connotano come conoscenza, tecnologia, ascolto, vicinanza al cliente, disponibilità oraria, abilità di finanza comportamentale, buona fede, limitazione ai conflitti di interesse ecc. 

In estrema sintesi, se (e sottolineo se) il futuro dell’intermediazione è nella consulenza, oggi quasi tutti si identificano come consulenti e dunque nessuno lo è. L’indeterminatezza tuttavia, quando il mercato si complica, è autolesionista e non consente la creazione di quella fiducia scientifica e stabile che è necessaria perché una professione si affermi. 

Come dunque uscire dall’indefinito? Come dare significato a un mestiere senza basarsi solo sulle proprie opinioni e convenienze? Di questo discuteremo nei prossimi contributi. 


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