UNO SFORZO IN PIÙ PER LA PARITÀ DI GENERE

Sono ancora poche le donne nei board e nei ruoli apicali delle compagnie assicurative. Lo scenario, seppur in lento miglioramento, richiede un maggior impegno del mercato per garantire che anche l’universo femminile possa dare il suo contributo alla crescita e allo sviluppo del settore delle polizze

UNO SFORZO IN PIÙ PER LA PARITÀ DI GENERE
Ho accolto con piacere la proposta del direttore Maria Rosa Alaggio di raccontare la mia storia professionale ed esprimere la mia opinione sul contributo che le donne possono apportare allo sviluppo del mercato assicurativo. È un tema di cui è utile parlare in modo costruttivo per far crescere il nostro settore, assieme alla società civile, e farlo a più voci, con la testimonianza delle donne ma anche degli uomini. 
Parlarne non deve essere una questione di genere: serve inclusività per un approccio condiviso che sia motore di evoluzione su un tema sempre più di attualità politica, economica e sociale. 
In Italia scontiamo un ritardo generale basato su un insieme di limiti culturali, assistenziali e normativi. Nonostante la composizione di laureati suddivisi per sesso veda un’ampia e preponderante presenza femminile, continua a essere basso il numero di laureate in discipline Stem e dunque di future professioniste con maggiori opportunità di crescita professionale in un mondo del lavoro che offre molto in questi ambiti. Se guardo agli ultimi 40 anni (da quando più o meno sono entrata nel mondo del lavoro), non vedo miglioramenti significativi dal punto di vista culturale e assistenziale per il supporto alla crescita professionale femminile: c’è ancora molto da fare per politiche di effettiva parità nella cura di minori, anziani o disabili, affidati prevalentemente alle famiglie e, all’interno di queste, alle donne, così come per politiche di incentivazione all’assistenza pubblica che favoriscano un impegno della donna ulteriore a quello familiare.

MOLTA COMPETENZA, POCA RAPPRESENTANZA

In questo scenario, alcune normative che impongono un mix di genere sono state introdotte per società quotate e società finanziarie, non per le imprese assicurative, dove le società quotate sono una piccola minoranza.
A questo tema l’Ivass ha dedicato di recente uno studio, da cui emerge un quadro piuttosto sconfortante in termini numerici. La percentuale di donne nei board assicurativi è minore rispetto al settore bancario. Meno del 15% delle compagnie registrava nel 2019 una partecipazione femminile superiore al 33% all’interno dei board. Le donne presidenti erano meno del 5%, quelle amministratore delegato appena il 7%, nessuna tra le società quotate. A quattro anni di distanza qualcosa è cambiato, ma non basta certamente qualche caso isolato per invertire la tendenza. Tuttavia, è interessante notare che le donne nei board assicurativi hanno caratteristiche distintive rispetto ai colleghi maschi: più giovani in media di almeno sei anni, con istruzione più elevata, con un percorso professionale più diversificato, provenienti quasi sempre dal mondo accademico o dalla libera professione rispetto alla carriera manageriale interna dei colleghi maschi. In conclusione: siamo poche, più preparate e abbiamo fatto mediamente più fatica a raggiungere la vetta attraverso percorsi professionali meno lineari. E tutto ciò in ragione di pregiudizi inconsapevoli, sviluppati negli anni per effetto di una consuetudine di interazione tutta al maschile, che continuano a condizionare le scelte sui potenziali candidati, e a creare un vantaggio in favore degli uomini.

UN NATURALE BILANCIAMENTO DEI RUOLI

C’è tuttavia maggiore consapevolezza e determinazione sulla necessità di colmare il gap di genere. Probabilmente i consessi internazionali spingeranno verso forme di autovalutazione dei board dal punto di vista del mix sia di competenze che di genere. Ritengo necessarie norme in favore dell’equilibrio di genere fino a ottenere un effettivo equilibrio nei board, ma mi piacerebbe soprattutto assistere al momento in cui queste norme imperative saranno serenamente abbandonate per effetto di un naturale bilanciamento dei ruoli. Credo però di essere realista nell’affermare che dobbiamo aspettare ancora qualche generazione.
Nel mondo dell’intermediazione la situazione è ancor più sbilanciata: seppur in presenza di un buon equilibrio nella fase di accesso, la progressione di carriera svantaggia la presenza femminile. La dimensione ridotta delle strutture di intermediazione limita infatti le donne nei board, ragione per cui la presenza e la cultura maschile ancora prevalgono. Se poi guardiamo alle associazioni di categoria del settore (sia con riferimento alle compagnie che agli intermediari), queste rispecchiano quanto già descritto: a parte qualche caso isolato, seppur di peso, la presenza femminile è limitata.

IL VALORE DELL’ESPERIENZA INTERNAZIONALE

Nel portare la mia testimonianza posso dire che la mia storia professionale è stata avvantaggiata, negli anni decisivi della mia crescita, da una progressione che, all’interno dell’autorità di vigilanza, si basava sul superamento di concorsi pubblici aperti a candidati interni ed esterni. Questa tipologia di selezione ha consentito a me e a numerose colleghe di arrivare ai vertici della carriera, similmente alle molte presenze femminili ai vertici della magistratura, della medicina e del mondo accademico. Certamente le maggiori difficoltà che ho incontrato riguardano l’approccio e il confronto con un mondo prevalentemente maschile, soprattutto nella mia esperienza in rappresentanza del brokeraggio assicurativo. Tuttavia, l’esperienza maturata e le competenze che ero in grado di esprimere sono state superiori alla resistenza culturale legata al genere. Le difficoltà non devono portare a considerarci svantaggiate, ma piuttosto a valorizzare i nostri talenti, ad acquisire consapevolezza sulle nostre capacità e a saper lavorare in ogni condizione senza pregiudizi. Per alcuni anni ho lavorato a stretto contatto con gli organismi europei e i colleghi delle relative autorità nazionali in ambito comunitario: questo confronto mi ha aiutato ad apprezzare la leadership femminile, una visione più equilibrata e rispettosa dei generi che arricchisce i team. La trasposizione domestica di questa esperienza spesso passa per analoghe esperienze internazionali maturate dai colleghi uomini che hanno sperimentato leadership femminili. La resistenza spesso è generata da fattori culturali legati a un certo status quo, ma svanisce davanti a un’esperienza diversa e di valore. La leadership femminile ha peculiarità proprie: la sfida è non farsi omologare al pensiero maschile, ma portare il proprio contributo e, rotto il famoso soffitto di cristallo, essere in grado di fare squadra e offrire un diverso approccio al lavoro. Questo è il mio principale obiettivo per il futuro. Era giusto offrire un quadro oggettivo del tema, non mi piace generalizzare ed enfatizzare solo le qualità femminili: ogni persona in azienda è portatore della propria professionalità ed esperienza umana. Grazie a buon mix di competenze e di genere si può realizzare un team equilibrato di esperienze ed è importante la capacità di collaborare e sostenere il raggiungimento degli obiettivi comuni. Fondamentale è che il sistema valorizzi le professionalità, a prescindere dal genere.

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