LA FISCALITA' DI TIPO EUROPEO

Dalla relazione Covip arriva l’indicazione di interventi legislativi ineludibili, che pongano i trattamenti fiscali della previdenza in linea con quanto avviene in Europa. E che puntino alla riduzione del numero dei fondi, privilegiandone la maggiore dimensione

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La Relazione Covip 2014, esposta dal presidente Francesco Massicci l’11 giugno scorso, a Palazzo Montecitorio, contiene diversi spunti innovativi e, pur negli oggettivi limiti di formulazione di un documento strettamente istituzionale, reca puntuali indicazioni operative per il settore e valide proposte di carattere più generale, che mi auguro non siano sottovalutate né dal Governo né dalle parti sociali. 

Queste ultime, è appena il caso di ricordarlo, a vari livelli assolvono al ruolo di fonti istitutive dei fondi pensione complementari e delle casse sanitarie integrative, esse pure prese in considerazione nel corpo della relazione, e anche a prescindere da specifici interventi governativi, sono comunque in grado di giocare un ruolo chiave nella definizione di un nuovo e più moderno assetto di welfare per il Paese. 


RIVEDERE GLI SCHEMI DI TASSAZIONE

Tra le diverse questioni affrontate nella relazione, su alcune delle quali ritornerò in altra occasione, essendo da tempo oggetto di riflessione da parte di Assoprevidenza, due meritano particolare menzione. 
La prima, espressione di non comune onestà intellettuale da parte di un’Agenzia governativa, è rappresenta da una ferma critica verso la scelta compiuta dal Governo circa la fiscalità dei rendimenti conseguiti dalle forme pensionistiche (tanto complementari quanto professionali private, di primo pilastro), con la corretta evidenziazione di come tutto ciò si ponga in netta controtendenza rispetto agli schemi di tassazione applicati in Europa (ove domina la non percossione dei rendimenti), con la paradossale e perniciosa conseguenza di ridurre la rivalutazione dei contributi versati e, in buona sostanza, i livelli di capitalizzazione degli aderenti, cioè le loro prestazioni pensionistiche future. È implicita la richiesta di un mutamento di rotta, magari in sede di redazione della legge di Stabilità per il 2016, come richiesto da Assoprevidenza. 


NECESSARIO UN ACCORPAMENTO DELLE FORME COMPLEMENTARI 

Il secondo tema meritevole di segnalazione attiene a quello che la relazione indica come un deciso “salto di paradigma” per le forme complementari, cioè un loro diverso, più solido e strutturato assetto organizzativo, capace di esprimere una gestione professionale dei rischi, in primo luogo in ragione delle nuove e più complesse scelte di investimento che esse saranno chiamate a compiere, per tutelare gli interessi degli iscritti.
A monte dell’auspicato salto di paradigma vi è il profilo dimensionale dei fondi: attese le sfide che la previdenza complementare è chiamata a sostenere, la Covip indica con chiarezza che piccolo non è bello. Ne consegue l’ineludibile necessità che le forme complementari, preesistenti o negoziali che siano, si accorpino, riducendosi fortemente di numero e implementando l’ammontare delle riserve di pertinenza di ciascuna. La ricetta proposta può sembrare di banale semplicità, frutto di un approccio buonsensistico al tema, ancor prima che tecnico. Ciò è vero, ma solo in parte, come ben sa chi di continuo, per ragioni professionali, si trova a combattere con la pervicace volontà di conservare micro posizioni di potere nei consigli di amministrazione o con la radicata convinzione che la prossimità di un fondo sia presupposto di maggior sicurezza per gli iscritti. 
La crescita dimensionale delle forme e il contrarsi del loro numero rappresenta una sfida ormai ineludibile, da giustapporre, ovviamente, a quella, ontologica, della capillare diffusione della previdenza complementare nel Paese. Per i tecnici del settore, nel prossimo futuro, il lavoro non mancherà….


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