CRESCERE CON LA SUPPLY CHAIN

L’esigenza delle grandi imprese di gestire e mitigare i rischi si ripercuote sulle Pmi della catena di fornitura. Ma la richiesta di adeguarsi a determinati parametri diventa l’occasione di apprezzare il valore aggiunto di un sistema di risk management

CRESCERE CON LA SUPPLY CHAIN
Cresce l’offerta delle compagnie assicurative verso le Pmi, in risposta a un accresciuto interesse delle medie aziende verso la gestione del rischio. Un passo in avanti che queste imprese stanno facendo, spesso spinte da richieste esogene, ma del quale imparano presto a cogliere i vantaggi. 
È una realtà che come consulente di risk management, con clientela incentrata soprattutto sulla fascia delle medie aziende, con fatturato tra 30 e 300 milioni di euro, mi capita di vedere spesso. In Italia sono moltissime le imprese di dimensioni contenute che sono eccellenze nella componentistica, nella meccanica di precisione, nel wellness, e che per questo sono inserite nella supply chain della grande industria, ad esempio automobilistica o farmaceutica, per le quali producono componenti di qualità. L’essere inserite in questa catena produttiva rappresenta per queste aziende l’opportunità di avere clienti grandi, prestigiosi, solidi e affidabili, che possono garantire dimensione, prestigio e resilienza del proprio business; d’altro canto emerge la consapevolezza di un gap nella filosofia aziendale e negli standard richiesti, che sono diversi da quelli a cui le piccole e medie imprese sono abituate. Rispetto al passato è cambiato anche l’approccio delle grandi aziende, che per far fronte alla riduzione dei margini puntano su una gestione del rischio che esige parametri sempre più stringenti: esse sono più consapevoli che una perdita di business continuity significativa può essere determinata anche da un terzo, che fa parte della propria supply chain. Per questa ragione i grandi clienti inseriscono il risk management tra i requisiti che sottopongono ai supplier chiedendo in particolare l’adozione di misure e standard di business continuity, parametri spesso preferenziali nella scelta di un fornitore.
Sia come consulente che come paladino da 30 anni dell’importanza del risk management e della sua diffusione anche tra le Pmi, ritengo si tratti di una grande opportunità. Molte volte in Italia le cose si fanno non per scelta ma perché vengono imposte: nel caso dell’adozione di sistemi di gestione del rischio ho potuto però sperimentare che aziende spinte ad adeguarsi hanno poi apprezzato il valore aggiunto della gestione del risk management e della continuità aziendale, che diventano valori intrinseci.

AFFRONTARE IL GAP CULTURALE 

In tema di gestione del rischio, i terzisti mostrano spesso lacune di tipo culturale e di approccio: possono essere a norma per quanto riguarda aspetti formali quali il Documento di valutazione rischi o la 626, ma manca una visione più ampia che faccia rientrare tutto questo nel patrimonio dell’azienda, in un concetto più integrato di gestione del rischio. Dall’altro lato però, per le grandi imprese con una politica avanzata di Erm, l’esigenza è andare oltre l’ottemperanza alla norma specifica e affidarsi a fornitori dotati, ad esempio, di un Bcms (Business continuity management system); risulta dunque evidente come questo percorso rappresenti per i terzisti un grande salto culturale.
È una sfida, ma anche una grande opportunità. Le imprese si avvicinano al risk management con l’approccio che si ha tipicamente verso una necessità, un costo, un vincolo imposto per lavorare: poi si rendono conto che, al di là della richiesta del grande cliente, avere ad esempio un sistema di Bcm è un valore aggiunto spendibile su altri fronti, oltre a una mitigazione della propria vulnerabilità finanziaria, organizzativa, gestionale, industriale. Le aziende che si sono adeguate alle richieste giunte da una controparte, hanno ad esempio spesso ottenuto vantaggi quali un aumento del proprio punteggio in gare con altri clienti, o un migliore rapporto costi/benefici per altri strumenti di mitigazione del rischio, a partire dai prodotti assicurativi. In questo senso, quando è stato possibile effettuare una valutazione del rischio a priori, invece che a posteriori, si è visto che era possibile ottenere un’ottimizzazione dei costi di prevenzione/protezione e di assicurazione, nonché ridurre l’esposizione finanziaria complessiva.


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FARE SISTEMA PIÙ CHE PRODOTTI

Rispetto a solo poco tempo fa, l’offerta assicurativa per le Pmi è migliorata grazie alla creazione di prodotti specifici. Siamo però ancora in una fase iniziale, e molto ancora c’è da fare, non solo in termini di coperture e servizi, ma anche dal punto di vista di approccio integrato tra cliente, consulente, intermediario e compagnia. Sussiste un’atavica carenza nel fare sistema, nel collaborare tra le parti per costruire un rapporto che vada oltre il rigido ruolo dei singoli con l’obiettivo della soddisfazione di tutti: un ostacolo che nel large corporate è in parte stato superato in virtù dei desiderata dei clienti dotati di strutture sofisticate di risk management. Per le medie imprese, ove l’assicurazione è ancora lo strumento più diffuso per la mitigazione del rischio, è necessario un lavoro a più mani ai fini del superamento di barriere culturali tuttora esistenti: al consulente che entra in azienda appare evidente che l’assicurazione sia ancora oggi interpretata come un balzello o come strumento da cui ricavare il massimo vantaggio quando si verifica un danno. Nel momento in cui si riesce a riorganizzare il portafoglio assicurativo, sulla base di una conoscenza dei rischi coperti e offrendo una visione razionale della protezione da tali rischi, si realizza già un passo avanti verso una cultura aziendale di risk management.
È con una collaborazione tra le parti più attiva, integrata e finalizzata, che si può effettivamente riuscire a cambiare l’approccio al rischio della singola azienda e con questo, con i dovuti tempi, dell’intero sistema. 

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