LA CRESCITA PASSA DALLA RIDUZIONE DEL GENDER GAP

Le donne sono state di gran lunga maggiormente colpite dalle conseguenze della crisi pandemica, sia per la perdita del lavoro sia per il maggiore impegno richiesto in famiglia. Ma è dimostrato che l’attenzione delle imprese nell’inclusione femminile garantisce migliori performance

LA CRESCITA PASSA DALLA RIDUZIONE DEL GENDER GAP
Affrontare il nodo dell’inclusione femminile, in particolare ai vertici delle aziende, non rappresenta soltanto una questione di carattere etico, ma anche di business. Le aziende hanno bisogno di esprimere il massimo delle loro potenzialità e non possono permettersi, tanto più in questa delicata fase in cui si è chiamati a dare il massimo a causa della brusca frenata economica, di non esprimere al meglio tutto il loro bagaglio di energie e di competenze.
Ecco quindi che la risoluzione del gender gap assume una valenza profondamente strategica per ogni azienda.
Il contesto in cui siamo chiamati ad agire, però, è particolarmente sfavorevole alla realizzazione di questo obiettivo. L’Istat pochi mesi fa ha certificato come la crisi economica e lavorativa scatenata dalla pandemia abbia colpito duramente il mondo del lavoro. L’emorragia di posti è stata imponente, ma a soffrirne maggiormente sono state soprattutto le donne. A dicembre 2020 i lavoratori sono diminuiti di 101mila unità: 99mila di questi posti persi erano, però, occupati da donne, e soltanto 2.000 da uomini. Il confronto anno su un anno è ancora più allarmante: nei dodici mesi, il saldo negativo è stato di 444mila unità (-1,9%), 312mila delle quali donne e 132mila uomini. Assistiamo quindi a uno squilibrio di enorme portata, che rischia di far tornare indietro il Paese vanificando i risultati che siamo stati in grado di ottenere negli ultimi anni, a prezzo di grandi sacrifici, sul fronte dell’eguaglianza fra i generi sul posto lavoro.
Eppure i dati ci dicono che più donne sono al lavoro più il Pil cresce, soprattutto se l’occupazione femminile è di alto profilo. Il Word Economic Forum ha quantificato l’apporto positivo sul prodotto interno lordo mondiale se ai vertici delle aziende ci fossero più donne: stiamo parlando di una crescita aggiuntiva di 5,3 miliardi di dollari entro il 2025, secondo le stime del Global gender gap report. E non è un caso se l’Ue ha deciso di spingere sull’acceleratore di una proposta di legge europea che mira ad avere almeno il 40% di donne nei consigli di amministrazione delle società quotate in Borsa, e a poter contare sul 50% dei ruoli chiave ricoperti da donne all’interno della complessa macchina burocratica dell’Unione.

IMPEGNO IN PRIMA LINEA IN USA E ITALIA

In attesa di questi provvedimenti, siamo chiamati come esponenti di un settore industriale importantissimo per il corretto funzionamento dell’economia e della società, a muoverci con ogni strumento a nostra disposizione per promuovere la parità di genere come chiave per la crescita e l’innovazione. MetLife si trova in prima linea in questo sforzo, sia a livello globale sia a livello locale. 
La nostra società è stata la prima compagnia assicurativa basata negli Stati Uniti ad aderire ai principi per l’empowerment femminile sanciti dalle Nazioni Unite. Si tratta di una serie di impegni istituiti da UN Women e UN Global Compact con l’obiettivo di promuovere l’uguaglianza di genere nei luoghi di lavoro e nella società. Fra i risultati conseguiti vorrei ricordare che MetLife, a conferma della sua sensibilità nei confronti delle collaboratrici che hanno figli, è stata premiata per 22 volte negli Usa come miglior luogo di lavoro per le mamme.
La compagnia è molto impegnata anche nelle singole country su questo tema e l’Italia non è da meno. A confermarlo è l’Inclusion impact index che abbiamo realizzato in collaborazione con Valore D, l’associazione di oltre 200 imprese operanti nel nostro Paese, attiva da più di dieci anni nella promozione di una cultura inclusiva, con la quale collaboriamo proprio allo scopo di promuovere la riduzione del gender gap. L’indice mette in evidenza che MetLife può vantare numeri sull’inclusione del genere femminile ben al di sopra della media dell’intero settore assicurativo. La compagnia, infatti, presenta una percentuale di donne nella propria forza lavoro pari al 53,8% del totale contro una media dell’industria assicurativa italiana del 50,6%. 

ACCELERARE NELL’INCLUSIONE

Ma è nell’ambito delle posizioni di prima linea che la nostra società sta dimostrando di aver intrapreso concretamente la strada del cambiamento. Oggi le donne in posizioni dirigenziali in MetLife, come rilevato dall’Inclusion Impact Index sviluppato con Valore D, sono il 44,4% contro una media delle altre compagnie del 20,2%. A livello del comitato direttivo, infatti, al netto del direttore generale, il team è perfettamente bilanciato tra i due generi. La percentuale di donne in posizioni di quadro o funzionario, invece, è del 54,2% contro una media del settore di appena il 32,8%.
Questi numeri rappresentano risultati di cui andiamo fieri, ma non devono rappresentare un alibi per fermarci, piuttosto un’ulteriore spinta a far meglio. Proprio per questo motivo la collaborazione con il mondo dell’associazionismo si è rafforzata negli ultimi tempi, tanto che oggi siamo una delle 130 società che hanno deciso di aderire al Manifesto per l’occupazione femminile promosso da Valore D. Il documento consiste in nove punti che vanno dalla valorizzazione delle diversità di genere al riconoscimento dell’importanza delle competenze Stem (science, technology, engineering e mathematics), dal monitoraggio della presenza femminile e del pay gap all’individuazione di misure di supporto alla maternità, dalla valorizzazione del ruolo genitoriale alla promozione di politiche di welfare, dalla implementazione di modalità di lavoro flessibile alla promozione dell’accesso delle donne alle funzioni manageriali, fino alla sensibilizzazione del management alle tematiche relative alla diversità di genere. 

VERSO LA PARITÀ, ANCHE DOMESTICA

Non possiamo fermarci perché questo è un momento storico molto delicato per l’inclusione femminile, i cui progressi, come abbiamo visto negli ultimi mesi, nel nostro Paese, ma non solo, sono messi a dura prova dalla pandemia sia per l’impatto sui tassi di occupazione, sia per i carichi familiari per i quali le donne sono culturalmente chiamate in causa più degli uomini. Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite nel report The Impact of Covid-19 on women, il lavoro da casa e la chiusura delle scuole hanno aumentando la mole di lavoro casalingo che grava sulle spalle delle donne: sono proprio loro a spendere in media 4,1 ore al giorno per i lavori domestici e la cura non retribuita di familiari, mentre gli uomini ne dedicano quotidianamente solo 1,7. 
Per questo continueremo a promuovere iniziative di cambiamento culturale e sviluppo manageriale per le donne e, allo stesso tempo, stiamo rinnovando la nostra politica di welfare aziendale proprio nella logica di una maggiore flessibilità nel lavoro (ad esempio con il lavoro da casa, ma non solo) e un sistema di strumenti che faciliti i genitori nella gestione degli impegni familiari, siano essi mamme o papà, nell’ottica di favorire la parità di genere, non limitatamente all’azienda, ma a livello sociale. Agire per il bene delle donne significa, infatti, agire per il benessere della comunità intera e il futuro delle nostre figlie e dei nostri figli. Come azienda che crede e investe nella sostenibilità, questa è quindi una delle nostre priorità e responsabilità. 

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