LE DONNE E LA PROFEZIA CHE SI AUTO-AVVERA

In Italia la percentuale di donne che lavorano è tra le più basse in Europa. L’introduzione delle quote di genere ha portato effetti positivi nelle imprese e negli enti che l’hanno adottata, anche se il passo verso la normalizzazione è ancora lungo. La difficoltà principale rimane però l’inclinazione femminile a sottovalutare le proprie competenze e ad accettare di essere marginali

LE DONNE E LA PROFEZIA CHE SI AUTO-AVVERA
In Italia gli uomini che lavorano o cercano lavoro sono all’incirca il 70% di quelli in età lavorativa; le donne soltanto il 55%: in sintesi, una donna su due non lavora. Gli oneri familiari tendono a condizionare le donne, che rinunciano o restano inattive per molto tempo. Il divario è parecchio eterogeneo: molto elevato nelle regioni meridionali rispetto a quelle del Centro e del Nord. 
È un dato sconfortante. A livello europeo, secondo i dati Oecd, lavora il 68% delle donne in età compresa fra i 20 e i 64 anni, una percentuale inferiore di 10 punti rispetto agli uomini. Una volta entrate nel mondo del lavoro, le donne tendono a essere impiegate in settori meno remunerativi, lavorare meno ore, avere salari più bassi, una carriera più lenta e ricoprire posizioni meno elevate.  
Una fotografia che scoraggia e che può rivelarsi disincentivante perché lascia sopravanzare nella donna la percezione del ma ne vale la pena?, che inaugura un circolo vizioso. 
Difficile poi per le donne ricoprire posizioni di vertice, infrangendo il noto soffitto di cristallo. Specie in ambito finanziario e assicurativo, di tradizionale competenza maschile. 
Nell’ultimo decennio, comunque, molto si è fatto a favore dell’equilibrio di genere, sia sul piano normativo, sia con l’introduzione in molte aziende di sistemi di welfare e incentivi all’inclusione. È anche maturata una sensibilità, magari sostenuta da un atteggiamento politically correct, che sicuramente aiuta lungo la strada dei buoni progressi. 

INSISTERE SULL’EQUILIBRIO DI GENERE 

L’introduzione dell’obbligo normativo di quote di genere nella composizione degli organi di vertice delle aziende, meccanismo che in sé non piace molto, ha consentito di infrangere barriere culturali e stereotipi che difficilmente sarebbero stati infranti. Secondo i dati dell’Osservatorio Interistituzionale, di cui fa parte anche la Banca d’Italia, nel 2019 nelle società sottoposte a obbligo normativo la quota femminile negli organi amministrativi era cresciuta notevolmente, mentre nei settori privi di questo vincolo era rimasta stabile o era cresciuta in misura modesta. Questo conferma il fatto che in mancanza di una prescrizione normativa la tensione all’equilibrio di genere viene a mancare. La riconosciuta utilità dello strumento e la consapevolezza che si è ancora lontani dall’obiettivo stanno alla base della decisione, assunta nel 2020, di ampliare a ulteriori sei mandati il periodo di vigenza delle disposizioni e al 40% l’obbligo della presenza nei board del genere meno rappresentato. 
Nei settori bancario e assicurativo, la presenza femminile nei consigli di amministrazione delle non quotate si aggira intorno al 17–18%. Ancora marginali poi, e questo sia per le quotate che per le non quotate, i casi di donne che ricoprono il ruolo di amministratore delegato o presidente. In ambito assicurativo, forse più che in altri, a fronte di un buon equilibrio in fase di ingresso si rileva una maggiore difficoltà delle donne nella progressione in carriera. Secondo rilevazioni Ivass riferite al 2019, solo il 5% dei presidenti era donna, e solo il 7% ricopriva la carica di amministratore delegato. 
La Banca d’Italia, dopo un primo intervento nel 2015, nel 2021 ha introdotto una quota di genere del 33% vincolante per tutte le banche, anche quelle più piccole. Non è un obbligo ma un invito, che si inserisce nell’ambito di una più ampia diversificazione dei consessi – per provenienza geografica, età e competenza – richiesta alle banche. La mancata adesione all’invito è oggetto di confronto con la stessa autorità. 
Non troviamo orientamenti sul tema per il settore assicurativo, ma l’attenzione è crescente e proprio nel 2022 sono entrate in vigore le regole Ivass sull’adeguata composizione degli organi collegiali che introducono una soglia minima del 20 e del 33%, in funzione della dimensione e complessità operativa, per il genere meno rappresentato. Sempre nel 2022, l’Eiopa ha invitato il Parlamento Europeo a introdurre, in occasione della revisione di Solvency II, previsioni per promuovere la diversità di genere nella governance delle compagnie. 

COSTRUIRE UNA DIVERSITÀ CHE PORTI VALORE 

Una più elevata presenza femminile negli organi di governo e controllo è maggiormente rappresentativa della popolazione aziendale, migliora la dialettica e il confronto all’interno dei consessi, può ridurre il rischio di comportamenti di mero allineamento alle posizioni prevalenti. In sintesi, l’equilibrio di genere negli organi di vertice, come sostenuto da numerosi studi, è un presidio di buona funzionalità ed efficienza dei processi decisionali e meglio si presterebbe a rappresentare un ambiente lavorativo che si vuole realmente inclusivo. Inoltre, pur senza univocità di vedute, studi hanno dimostrato che a una più alta quota di donne nei board si accompagna un maggiore turnover nelle cariche e una tendenziale riduzione all’età media e in generale una governance migliore. 
In Banca d’Italia, secondo dati di fine 2021, le donne ricoprono il 33% dei ruoli di responsabilità; in Ivass va anche meglio, le donne in tale posizione sono il 47%. L’attenzione all’equilibrio di genere, in entrambe le istituzioni, è cresciuta nel tempo insieme alla progressiva realizzazione di un sistema attento alla diversità e inclusione. L’istituzione di un diversity manager in Banca d’Italia, la cui attività coinvolge anche Ivass, consente l’attuazione di numerose iniziative che favoriscono un clima di benessere, accertato anche da indagini interne.
C’è poi un sistema di welfare che offre servizi utili per conciliare vita lavorativa e aspirazioni di carriera con la gestione familiare. Chiaramente, non significa che la questione è superata. Però, l’attenzione in Banca d’Italia come in Ivass non può che proseguire lungo il cammino già tratteggiato. 
La parità di genere è un obiettivo della Commissione Europea, inserito nella Strategia per la parità di genere 2020-2025. C’è comunque un punto che a mio avviso merita qualche riflessione. Le ragioni del gender gap sono complesse e molteplici, ma non tutte sono da ricercare all’esterno del mondo femminile. Le donne fanno fatica a liberarsi di proprie trappole comportamentali, tra le quali la poca fiducia in sé stesse e la sottostima delle proprie conoscenze. Sono condizionamenti sociali e storici con cui il mondo femminile fa i conti da sempre. Cercare di governarli, assumendosi anche al rischio dell’insuccesso, sicuramente aiuterebbe a superare la profezia che si auto-avvera.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

gender gap,
👥

Articoli correlati

I più visti